Tassi di apertura, click, conversioni. Numeri che da soli non dicono tutto, ma che possono raccontare molto. A patto di saperli leggere con attenzione e collegarli al comportamento reale dei destinatari. Perché in una campagna DEM ben strutturata, ogni dato è una traccia. E ogni traccia è un’occasione per migliorare!

Quando si invia una campagna di email marketing ben scritta, graficamente curata e inviata al momento giusto, la tentazione è quella di passare oltre e iniziare a pensare al prossimo invio. Ma c’è qualcosa che viene prima di ogni altra e che può fare la differenza tra un messaggio che raggiunge i suoi obiettivi e uno che si disperde nel rumore di fondo della casella di posta: l’analisi delle metriche.

Analizzare i risultati non vuol dire perdersi nei numeri. Significa decifrare il comportamento degli utenti, interpretare le azioni (o le mancate azioni) e trarne indicazioni concrete. In altre parole, significa restare in ascolto. Perché una campagna DEM non termina con l’invio: inizia proprio da lì.

Guardare oltre le percentuali: perché serve uno sguardo più profondo

C’è un momento, nel lavoro di ogni team marketing, in cui i numeri diventano un alibi. Si legge un 24% di apertura, si annuisce, si passa oltre. Ma a che cosa corrisponde davvero quel numero? Quante aperture sono state effettuate da dispositivi mobili? Quante da utenti abituali? Quante hanno portato a un’azione concreta?

Le metriche non vanno intese come cartoline da collezionare in un report mensile. Sono strumenti di lavoro e, se usate bene, permettono di ricalibrare la rotta. Se ignorate, trasformano una strategia in una sequenza di tentativi (spesso vani).

Il tasso di apertura: un dato da maneggiare con cautela

È uno dei numeri più osservati e, al tempo stesso, uno dei più fraintesi. Il tasso di apertura misura la percentuale di email che sono state aperte rispetto a quelle recapitate. Ma dietro un valore apparentemente incoraggiante può nascondersi una realtà più complessa.

 

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Le aperture non certificano un reale interesse. Possono essere dovute a un oggetto intrigante, a un’abitudine automatica dell’utente, perfino a un errore. Ecco perché interpretare correttamente questo valore richiede contesto. Serve considerare il momento dell’invio, il contenuto dell’oggetto, la frequenza con cui viene comunicato.

Una sequenza di aperture senza clic è una campanella che suona.

Il CTR: quando il clic diventa il vero indicatore di interesse

Il click-through rate racconta una verità più concreta: l’utente ha letto, ha trovato qualcosa che ha stimolato la curiosità e ha deciso di cliccare. È un segnale di reazione. Più difficile da ottenere, ma anche più prezioso.

La percentuale di clic permette di valutare la tenuta del contenuto. Se l’oggetto dell’email promette qualcosa e il contenuto mantiene quella promessa, il CTR sale. Se invece delude, si abbassa. Il tasso di apertura si ottiene con una buona strategia di invio; il CTR si guadagna con contenuti efficaci.

Dalla curiosità all’azione: il nodo delle conversioni

Un utente può cliccare e poi tornare indietro. Può aprire, scorrere e ignorare. Per questo la metrica che misura le conversioni è la più eloquente di tutte. Parla di risultati.

Una richiesta di informazioni, una prenotazione, un acquisto o un’iscrizione a un webinar: ogni azione compiuta dopo aver letto l’email è una conferma. La conversione resta la vera misura del risultato.

E per analizzarla occorre fare attenzione a più passaggi: la chiarezza della call to action, la coerenza tra messaggio e landing page, la semplicità del processo richiesto.

Una campagna che converte poco non è necessariamente fallita. Ma chiede un esame attento. Talvolta basta una form meno dispersiva. In altri casi serve ripensare completamente il percorso utente.

Bounce rate: quando le email non arrivano nemmeno

Un messaggio non recapitato è un’occasione persa. Ma anche un segnale utile. La percentuale di bounce, se tenuta sotto controllo, aiuta a migliorare la qualità del database.

Hard bounce e soft bounce non vanno confusi. Il primo indica indirizzi inesistenti o caselle non più attive. Il secondo segnala problemi temporanei, che possono risolversi da soli o richiedere un nuovo invio.

Mantenere una lista pulita aiuta a tutelare il brand e a non sprecare comunicazioni verso contatti che non sono più raggiungibili. Ed è anche un modo per evitare penalizzazioni dai provider. Un tasso di bounce alto rovina la campagna e pregiudica la reputazione del mittente.

Quando qualcuno si cancella: cosa dice il tasso di disiscrizione

Un’email può essere ignorata, cancellata, oppure trascinata in una cartella secondaria. Ma se qualcuno sceglie di disiscriversi, sta parlando. Sta dicendo che qualcosa non funziona più.
Forse i contenuti non sono più rilevanti. Forse la frequenza è eccessiva. O forse semplicemente si è sbagliato il target.

Analizzare le disiscrizioni aiuta a prevenire il logoramento della relazione con l’utente. È un termometro della sintonia tra il brand e chi lo segue. E a volte basta segmentare meglio per evitare di perdere contatti preziosi.

Segnalazioni spam: l’allarme che non va ignorato

Pochi clic sul pulsante “Spam” possono fare danni duraturi. Una reputazione compromessa richiede mesi per essere recuperata.

Eppure non tutte le segnalazioni nascono da una vera irritazione. Spesso si tratta di una reazione impulsiva, dovuta a messaggi poco personalizzati o troppo frequenti.

In questi casi, il consiglio è semplice: ascoltare di più. Verificare che i contenuti siano pertinenti, che il tono sia coerente, che la frequenza rispetti il tempo degli altri. Una buona strategia di automazione DEM permette di calibrare ogni passaggio.

Strumenti per leggere (bene) i dati

Avere a disposizione numeri è utile. Sapere dove guardarli, ancora di più. I software di dem automation offrono report dettagliati, ma il valore sta nella capacità di integrarli.

Google Analytics aiuta a capire cosa accade dopo il clic. Un CRM collegato consente di tracciare il percorso di ogni utente. I software di workflow marketing mostrano dove si interrompe il dialogo e dove invece si rafforza. La differenza non è tanto nei tool, ma nella capacità di usarli in modo strategico.

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Quando i dati diventano scelte

Una campagna che ha funzionato insegna qualcosa. Una che è andata male, forse di più. Il punto è capire cosa cambiare. E perché.

Un CTR basso può rivelare molto più di quanto sembri. Spesso è il segnale di un contenuto che non ha mantenuto la promessa dell’oggetto, o di una call to action che non ha convinto. Allo stesso modo, una conversione mancata può dipendere da una pagina poco chiara, da un modulo troppo lungo o da un passaggio che complica il percorso. I dati non parlano da soli, ma chi li osserva con continuità finisce per riconoscere in quelle variazioni qualcosa di utile per migliorare.

Nel tempo, l’analisi costante permette di costruire workflow email più reattivi, percorsi più fluidi, segmentazioni più raffinate. E contenuti che rispettano chi li riceve.

Il tempo come risorsa: osservare prima di agire

Alcuni inviano una campagna e passano subito oltre, concentrandosi già sul prossimo invio. Altri si fermano, rileggono i numeri, mettono in fila le azioni compiute dagli utenti e cercano di capire cosa ha funzionato davvero.

Sono questi ultimi a costruire nel tempo strategie più solide, perché sanno che ogni risultato, anche quando delude, può suggerire una direzione diversa. Fermarsi non vuol dire perdere tempo, ma attribuire significato a ciò che è accaduto. È in quello spazio di osservazione che spesso emergono le intuizioni più utili.

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